Dell’interesse generale Venerdì scorso, in occasione del centenario della nascita di Guido Carli, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha detto che “rigidità legislative, burocratiche, corporative, imprenditoriali, sindacali”. restano il freno principale alla ripresa del Paese. La situazione è talmente grave che per rimettere in piedi un’economia ferita come la nostra, non basterebbero l’impulso della spesa pubblica o l’espansione creditizia. I vecchi strumenti a cui ci si abbarbicava, come l’aumento del debito pubblico, o la svalutazione della moneta, sono oramai impercorribili. L'Italia avrebbe perso ben 25 anni, in termini di riforme mancate. Responsabilità di una classe dirigente incapace, le cui proposte non hanno saputo mediare “tra interesse generale e interessi particolari”. Le rendite di posizione hanno mantenuto in vita corporazioni inefficienti fino a diventare dei “veri e propri tumori della società”. Alle parole del Governatore hanno reagito sindacati e Confindustria, che se pure erano chiamate in causa, certo non erano l’unico bersaglio. La “classe dirigente” comprende infatti anche le forze politiche e persino istituzioni. Il presidente del Senato Grasso, incurante della presa di posizione del Governatore, ha espresso domenica scorsa i suoi timori sulla democraticità della riforma proposta dal governo. Il presidente del Senato è la seconda carica dello Stato, ma poichè il Senato è oggetto della riforma in questione, ecco che Grasso potrebbe apparire semplicemente come l’esponente di una corporazione intenta a difendere i suoi stretti interessi. Quando il presidente della Regione Friuli, Debora Serracchiani, ricorda a Grasso di essere esponente del Pd e di rispettarne le indicazioni, rivela che lei per prima disattende al suo incarico istituzionale, obbedendo al partito prima che ai suoi doveri verso i cittadini che l’hanno eletta a governare il Friuli. Nello scontro fra due cariche istituzionali, presidente del Senato, presidente della Regione, avanza il dubbio che anche il governatore della Banca d’Italia, altro non sia che l’esponente di una corporazione e sia intervenuto pro domo sua. La sfiducia nei confronti delle istituzioni si potrebbe ancora ampliare a dismisura. Chi fra Banca d’Italia, Senato, Governo, Pd, Regione, è capace di guardare davvero all’interesse generale e tutelarlo? E se per disgrazia non lo fosse nessuno fra questi? Se nessuno di loro fosse più in grado di rappresentarlo? Agli intellettuali che scrivono manifesti accusando Renzi di aprire la strada alla dittatura con riforme estemporanee e sbagliate, va risposto che la dittatura non è mai stata avviata da un qualche progetto di riforma, ma da una crisi di fiducia istituzionale. L’unico modo per evitarla lo abbiamo indicato mesi fa con la convocazione di un’Assemblea costituente, proprio per la necessità di ripensare d’accapo a istituzioni e corporazioni. Altrimenti finisce che ci penserà qualcun altro che vedrete non sarà il buon Renzi. Roma, 31 marzo 2014 |